FEDERICO II E LA SUA PREDILETTA CAPITANATA
Propongo una riflessione storica sul Puer Apuliae, in occasione della ricorrenza “800 anni dell’avvento di Federico II a Foggia e in Capitanata”.
L’imperatore (1194-1250) ha amato molto la sua Apulia e in particolare modo la “Magna Capitanata”, dove spesso si rifugiava per rinfrancare lo spirito, a volte sconfortato dalle varie vicissitudini e per dedicarsi alle predilette attività venatorie. A Foggia aveva fatto edificare un’incomparabile reggia, a Lucera la zecca imperiale con la colonia dei fedeli Saraceni, a San Lorenzo in Carmignano un parco acquatico di particolare suggestione, al centro di un territorio costellato da loca solaciorum, specchi d’acqua, foreste con ricca selvaggina e laghi pescosi.
Nei numerosi castelli e palazzi pugliesi disseminati in ogni angolo del territorio, Federico trascorse probabilmente la parte migliore della sua vita e lasciò indelebile ricordo della sua presenza imperiale (Vedi: Corsi P., Federico II di Svevia. Aspetti e problemi. Bari, Biblios, 2006). Il sovrano, profondo studioso e conoscitore degli studi scientifici, astronomici, filosofici ed artistici, affidò alla pietra il messaggio della sacralità della sua missione imperiale, in quanto designato “mediatore” tra Dio e gli uomini, il “nuovo Adamo”.
Da qui la creazione simbolica di Castel del Monte come una specie di “battistero laico”, testimone del “Sol invictus, Sol salutis, Sol justiatiae”, tutti epiteti riferiti all’imperatore che rigenera nella sua ecclesia imperialis i popoli, europei, saraceni o ebrei che fossero.

l'attore Manuel Casella nei panni di Federico II durante il Corteo Imperiale che si tiene annualmente a Torremaggiore
Lucera che, tra l’altro, divenne la sede del corpo di guardia personale dell’imperatore incarnava quella società laica multietnica, sogno precoce di universale grandezza del sovrano.
La sua strategia, incentrata sulla reggia di Foggia, ebbe il suo baricentro difensivo nella piazzaforte di Lucera, intorno a cui si dispiegavano a raggiera le fortezze di Monte Sant’Angelo, Vico del Gargano, San Nicandro Garganico, Devia, Castelpagano, Apricena, Serracapriola, Torremaggiore, Monterotaro, Dragonara, Fiorentino, il baluardo di Troia, la torre cilindrica di Bovino e l’arcigno donjon di Deliceto. Vieste, invece, apriva la linea difensiva costiera che si inoltrava fino a Brindisi ed Otranto.

Il Castello/Fortezza di Federico II a Lucera che ospitava anche, parte della colonia Saracena
23 Castra e 28 Domus Federiciani censiti in Capitanata
L’elenco dei castelli e delle domus censiti in Capitanata nello “Statuto sulla riparazione dei castelli”, consistente di 23 castra e 28 domus, è però soltanto parziale. In tutto il regno, lo Statuto registra 225 strutture castellari di pertinenza regia, di cui ben 82 ubicate nell’attuale Puglia. In esso, difatti, non risulta inserito né il castrum di Torremaggiore né quello di altre località. A conferma di ciò, Hubert Houben afferma che tale documento “non è, quindi, un elenco completo dei castelli regi, ma soltanto di quelli il cui mantenimento era affidato ai sudditi o alle comunità cittadine” (Vedi: Houben H., Sistema dei castelli nel Regno di Sicilia, in: Enciclopedia Federiciana. Roma, Istituto Treccani, 2005).
Con l’arrivo dei Cistercensi in Capitanata Federico introdusse molte novità non solo in campo architettonico, ma anche in quello economico e zootecnico. Ecco allora che furono fondate le Masserie Regie, quali: San Chirico, Versentino, Castelluccio, Visciglito, Tressanti, Celano ecc., aziende produttive modello, dove si praticava ogni sorta di coltura agricola
Venne introdotto in Capitanata un altro importante modello lavorativo agricolo, vale a dire la rotazione della coltura pugliese classica, che prevedeva nel primo anno la maggese, nel secondo anno il grano, nel terzo l’orzo e avena.

Castel del Monte ad Andria, trentesimo sito statale italiano più visitato.
Dimore straordinarie
La produzione agricola metteva al primo posto la cerealicoltura, mentre al secondo, la viticoltura, resa obbligatoria in ogni podere, persino sul Gargano, in quanto nessuno doveva spendere ingenti somme di denaro per il trasporto dei prodotti. Connesso alla produzione agricola vi era l’allevamento del bestiame, che il sovrano assegnò ad aziende zootecniche vere e proprie, in cui veniva privilegiato un rinomato cavallo di razza, il murgese.
Venne regolamentata, altresì, la pastorizia transumante con l’emanazione di due costituzioni: “Animalia in vineis” e “Ut delicti”, con cui Federico II attenuò la severità della punizione per i trasgressori, sostituendo la pena di morte con il pagamento di una multa di quattro volte l’ammontare estorto.

Tuttavia, al di là delle interpretazioni sulle finalità della politica economica di Federico, resta il fatto incontrovertibile che egli si occupò del miglioramento delle condizioni generali di vita dei suoi sudditi. Ecco le norme sulla salubrità dell’aria, sul divieto di inquinamento dei corsi d’acqua, sui metodi di macerazione del lino, sulle modalità di proteggere i campi coltivati dagli animali dei viaggiatori, sulla manutenzione dei canali, ecc...
Lo stesso Domenico Vendola, filo-pontificio, dovette riconoscere che le condizioni civili e politiche dell’intera Puglia furono “per lo più felici e prospere sotto il regno di Federico II” (Vendola D., Documenti tratti dai registri vaticani. Vol. I. Trani 1940).
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